Due sono le proposte di Direttive europee che, correndo spedite nel loro iter di approvazione, riscriveranno le regole sulle etichette ambientali. Si chiarisce il concetto di “terza parte”: se manca è pratica commerciale sleale.
Nuove etichette private? Sì ma solo se apportano un valore aggiunto.
Il quadro comunitario (e quindi anche nazionale) delle dichiarazioni e certificazioni ambientali (cd. Green Claims) è in fase di definizione e di forte cambiamento. Lo è per effetto di due importanti documenti che seguono spediti il loro iter normativo comunitario. Si tratta di:
– Proposta di Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 2005/29/CE e 2011/83/UE per quanto riguarda la responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde mediante il miglioramento della tutela dalle pratiche sleali e dell’informazione (del 30/3/2022)
– Proposta di Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla definizione e comunicazione di asserzioni ambientali esplicite (Direttiva Green Claims) del 23/3/2023
Molti sono gli aspetti interessanti sui quali si scriverà ampiamente. Il combinato disposto dei due documenti, già oggetto di ampia consultazione e quindi con contenuti consolidati, mira a definire le regole per le etichette ambientali, che dovranno essere affidabili, per poter tutelare i consumatori e le loro scelte di acquisto, nonché per permettere la concorrenza leale sul mercato di prodotti e servizi effettivamente green.
Vengono definite le regole che devono stare alla base della messa sul mercato di nuove certificazioni, altrimenti le certificazioni dovranno essere proibite perché, appunto, costituenti pratiche commerciali sleali.
Si parte dalle definizioni fondamentali di “sistema di certificazione” e di “verifica di terza parte”. La proposta di Direttiva Green Claims fa riferimento alla definizione riportata nella direttiva 2005/29/CE (articolo 2): “s) “sistema di certificazione“: sistema di verifica da parte di terzi che, nel rispetto di condizioni trasparenti, eque e non discriminatorie, è aperto a tutti i professionisti disposti e in grado di conformarsi ai suoi requisiti, il quale certifica che un dato prodotto è conforme a determinati requisiti e nel cui ambito il monitoraggio della conformità è oggettivo, basato su norme e procedure internazionali, unionali o nazionali, ed è svolto da un soggetto che è indipendente sia dal titolare del sistema sia dal professionista;”
I primi aspetti riportati riguardano l’affidabilità e la scientificità che devono stare alla base della definizione delle regole sulle quali l’etichetta ambientale si basa, che deve inoltre essere democratica e aperta.
Quello che è un aspetto inedito nel sistema normativo delle etichette ambientali è la definizione di “terza parte”: le verifiche per il rilascio della certificazione devono essere svolte da un soggetto indipendente (e quindi separato nella sostanza e non solo formalmente) rispetto al titolare del sistema di certificazione e rispetto all’azienda che chiede la certificazione.
La violazione di questo aspetto è ritenuta pratica commerciale sleale (come spiegato nell’Explanatory Memorandum che precede la Proposta di Direttiva) per cui meritevole di sanzioni che dovranno essere attuate dagli Stati membri. La proposta di Direttiva Green Claims è severa sul punto: “l’esposizione di un’etichetta di sostenibilità non basata su un sistema di certificazione o non istituita dalle autorità pubbliche costituisce una pratica commerciale sleale in tutte le circostanze. Ciò significa che sono vietate le etichette di sostenibilità “autocertificate”, ovvero quelle in cui non viene effettuata alcuna verifica da parte terza (come sopra definita)”. Quindi, se non esiste una netta separazione dei soggetti, si ricade nell’auto-dichiarazione ambientale, strettamente vietata dalle nuove norme europee.
Il documento comunitario spiega che attualmente sul mercato dell’Unione sono utilizzate più di 200 etichette ambientali. Presentano importanti differenze nel modo in cui operano per quanto riguarda, ad esempio, la trasparenza e la completezza delle norme o dei metodi utilizzati, la frequenza delle revisioni o il livello di audit o verifica. Queste differenze hanno un impatto sull’affidabilità delle informazioni comunicate sulle etichette ambientali. Sebbene le dichiarazioni basate sull’Ecolabel UE o sui suoi equivalenti nazionali seguano una solida base scientifica, abbiano uno sviluppo trasparente dei criteri, richiedano prove e verifiche da parte di terzi e prevedano un monitoraggio regolare, le prove suggeriscono che molte etichette ambientali attualmente sul mercato dell’UE sono fuorvianti. In particolare, molte etichette ambientali mancano di procedure di verifica affidabili. Pertanto, le dichiarazioni ambientali esplicite riportate sulle etichette ambientali dovranno essere basate su un sistema di certificazione, così come sopra definito.
La proposta di Direttiva Green Claims stringe molto sulla proliferazione di nuovi schemi proprietari privati, che dovranno essere sottoposti ad una procedura di convalida preventiva, valutati dalle autorità nazionali e convalidati solo se dimostrano un valore aggiunto rispetto agli schemi già esistenti, in termini di caratteristica ambientale coperta, impatti ambientali, gruppo di categorie di prodotti o settore e la loro capacità di sostenere la transizione verde delle PMI rispetto ai regimi esistenti dell’Unione, nazionali o regionali. Per facilitare la valutazione del valore aggiunto, sarà pubblicata una lista delle etichette ambientali esistenti e affidabili.
I nuovi regimi privati saranno consentiti solo se possono mostrare ambizioni ambientali più elevate rispetto a quelli esistenti e ottenere quindi una pre-approvazione.
Per approfondire
Questions and Answers on European Green Claims