Codice appalti in arrivo e certificazioni ambientali

Codice appalti in arrivo ed etichettature ambientali

Il Codice appalti fissa le regole in base alle quali una certificazione ambientale può essere, o non essere, accettata in sede di gara.

Il GPP in Italia è un sistema ben avviato: sono obbligatori i criteri ambientali minimi (e continueranno ad esserlo con il nuovo Codice appalti in arrivo), le gare green si stanno sempre di più diffondendo e così le certificazioni ambientali che servono alle aziende per partecipare alle gare e magari aggiudicarsele.

Ma così come la normativa GPP impone regole rigide per le caratteristiche ambientali dei prodotti e servizi, così coerentemente chiede regole severe per le certificazioni. Non sono ammessi marchi di facciata, marchi fatti “a tavolino”; le certificazioni devono rappresentare larghi e diffusi interessi, devono essere esito di un processo partecipato, che nasce dal basso, da un comparto, da un’associazione di produttori che intende definire le regole per identificare le eccellenze green del settore. Solo in questo senso le etichette ambientali sono oggettivamente credibili.

Ma soprattutto, le certificazioni etichette ambientali essere indipendenti.

Ma cosa significa indipendenza, terzietà di una certificazione ambientale per il Codice Appalti?

Significa, sostanzialmente, che l’ente di certificazione che svolge la verifica (e che per tale attività riceve un compenso dall’azienda che intende certificarsi), deve essere un soggetto diverso dal soggetto (partecipato) che scrive le norme, i requisiti per l’etichettatura e ne cura l’aggiornamento nel tempo.

Tutto ciò sembra ovvio e scontato: in altre parole, chi detta le regole non può essere colui che le applica. Un Ente di certificazione, secondo il Codice appalti, non può essere proprietario di una certificazione e allo stesso tempo fare le verifiche presso le aziende e rilasciare i certificati.

Questo il senso di quanto prescrive il Codice appalti (in arrivo): “i requisiti per l’etichettatura sono stabiliti da terzi sui quali l’operatore economico che richiede l’etichettatura non può esercitare un’influenza determinante.” Dove per influenza determinate evidentemente si intende quella definita dal rapporto economico e contrattuale (ovvero quella che si instaura tra l’impresa e l’ente di certificazione).

Inoltre, il Codice appalti dice che la P.a. può richiedere certificazioni ambientali la cui comprensione sia immediata (che non siano fuorvianti, oscure, vaghe ecc.) e che si basino su un fondamento scientifico comprovato. Inoltre, tali criteri devono essersi formati in esito ad un processo concertato, condiviso e aperto a tutte le parti, che siano diretta rappresentazione delle aziende del settore e dei principali stakeholder, anche istituzionali (associazioni imprenditoriali, parti sociali, aziende ecc.).

Le certificazioni devono inoltre essere accessibili a tutti gli interessati, che siano in possesso dei requisiti, senza preclusioni o particolari “selezioni all’ingresso” (es. sarebbe da escludere un marchio del quale possono beneficiare solo gli appartenenti, gli iscritti ad un gruppo).

Tutto ciò è contenuto nell’Allegato II.5 (Specifiche tecniche ed etichettature) che ripercorre il contenuto dell’articolo 69 del vigente Codice appalti (Dlgs. 50/2016). Inoltre, il nuovo Allegato II.5 così come l’articolo 69 riproducono pedissequamente l’articolo 43 della Direttiva del Parlamento e Consiglio Ue 2014/24/Ue (Direttiva sugli appalti pubblici) di cui il Dlgs. 50/2016 costituisce recepimento. Niente di inventato dunque: le regole sono stabilite a livello europeo.

Per quanto riguarda il valore normativo degli Allegati al codice, questi sono disposizioni normative primarie così come richiamate dall’articolo 227 dello stesso Codice in arrivo.

Non è strano che a definire le regole per le etichettature ambientali sia proprio il Codice appalti, ovvero la norma che regola il funzionamento delle gare pubbliche e i comportamenti degli attori che vi partecipano (Stazioni appaltanti e imprese). Regole che sono contenute all’interno di un atto normativo (decreto legislativo) avente forza di legge e quindi gerarchicamente superiore ad un decreto ministeriale (CAM). L’obiettivo chiaramente è quello di evitare la pratica del greenwashing in sede di gara pubblica.

Qui il contenuto per esteso dell’Allegato II.5 (“Specifiche tecniche ed etichettature”).

“1. Le stazioni appaltanti che intendono acquistare lavori, forniture o servizi con specifiche caratteristiche ambientali, sociali o di altro tipo, possono imporre nelle specifiche tecniche, nei criteri di aggiudicazione o nelle condizioni relative all’esecuzione dell’appalto, un’etichettatura specifica come mezzo di prova che i lavori, le forniture o i servizi corrispondono alle caratteristiche richieste, quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:

a) i requisiti per l’etichettatura sono idonei a definire le caratteristiche dei lavori, delle forniture e dei servizi oggetto dell’appalto e riguardano soltanto i criteri a esso connessi;

b) i requisiti per l’etichettatura sono basati su criteri oggettivi, verificabili e non discriminatori;

c) le etichettature sono stabilite nell’ambito di un apposito procedimento aperto e trasparente al quale possano partecipare tutte le parti interessate, compresi gli enti pubblici, i consumatori, le parti sociali, i produttori, i distributori e le organizzazioni non governative;

d) le etichettature sono accessibili a tutte le parti interessate;

e) i requisiti per l’etichettatura sono stabiliti da terzi sui quali l’operatore economico che richiede l’etichettatura non può esercitare un’influenza determinante.

2. Se le stazioni appaltanti non richiedono che i lavori, le forniture o i servizi soddisfino tutti i requisiti per l’etichettatura, indicano a quali requisiti per l’etichettatura fanno riferimento. Le stazioni appaltanti che esigono un’etichettatura specifica accettano tutte quelle che confermano che i lavori, le forniture o i servizi soddisfano i requisiti equivalenti.

3. Se un operatore economico dimostra di non avere la possibilità di ottenere l’etichettatura specifica indicata dalla stazione appaltante o un’etichettatura equivalente entro i termini richiesti, per motivi a esso non imputabili, la stazione appaltante accetta altri mezzi di prova, ivi compresa una documentazione tecnica del fabbricante, idonei a dimostrare che i lavori, le forniture o i servizi che l’operatore economico interessato deve prestare soddisfano i requisiti dell’etichettatura specifica o i requisiti specifici indicati dalla stazione appaltante.

4. Quando un’etichettatura soddisfa le condizioni indicate nel comma 1, lettere b), c), d) ed e), ma stabilisce requisiti non collegati all’oggetto dell’appalto, le stazioni appaltanti non possono esigere l’etichettatura in quanto tale, ma possono definire le specifiche tecniche con riferimento alle specifiche dettagliate di tale etichettatura, o, all’occorrenza, a parti di queste, connesse all’oggetto dell’appalto e idonee a definirne le caratteristiche.”

Si conferma l’obbligatorietà dei CAM

Nella bozza che gira da tempo in rete e che si avvia verso la pubblicazione in Gazzetta ufficiale viene confermata l’obbligatorietà dei CAM, nell’articolo 57, c. 2, con una formulazione che richiama ampiamente quanto prescritto nell’articolo 34 del Codice attualmente in vigore (Dlgs. 50/2016). Quindi, i CAM continueranno ad essere obbligatori, così come contenuti nei decreti firmati dal Ministero dell’ambiente. Anzi viene espressamente previsto che “Le stazioni appaltanti valorizzano economicamente le procedure di affidamento di appalti e concessioni conformi ai criteri ambientali minimi.”

Schema di decreto legislativo recante codice dei contratti pubblici (trasmesso alla Presidenza il 5 gennaio 2023)


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